Frantoi ipogei, escursionismo “storico” nel Salento

Redazione  | 21 Mar 2018

Il Salento, terra di sole, mare e ulivi e dei frantoi ipogei.

Si tratta dei trappitu, trappeti, termine tradizionale che viene dal latino trapetus, cioè frantoio, torchio delle olive.

E proprio di frantoi si tratta, ma ipogei: in tutta l’area di quelle che sono state definite miniere di oro verde (non lo è forse l’olio extravergine prodotto qui dai maestosi ulivi secolari?) ce ne sono diverse, tanto da poter organizzare un vero e proprio itinerario sulle tracce di una tradizione millenaria che, ci racconta la storia, è iniziata attorno al IX secolo.

È in quel periodo che l’economia salentina, prima votata alla produzione del grano, “vira” verso quella dell’olio, anche grazie ai contatti con la cultura bizantina: l’oro verde si esporta, si usa per illuminare e soprattutto per condire il cibo della gente (contribuendo tanti secoli dopo ai famosi e innegabili vantaggi della dieta mediterranea).

Ciurma e nocchiero, i “segreti” dei trappeti in Salento

Frantoi Salento

Frantoi del Salento, storia e cultura in Puglia

I frantoi ipogei, che sorgono sulle antiche rovine dei granai costruiti dai Messapi, la gente che abitava qui prima dei Romani, assicurano una migliore conservazione dell’olio (le olive vengono scaricate direttamente dall’alto attraverso un apposito foro sulla volta), e lo proteggono da ladri e pirati.

A lavorarci, metri e metri sotto la terra, ci sono gruppi di uomini chiamati ciurma, con un caposquadra supervisore detto nachiru, nocchiero. Perché? Probabilmente sono marinai passati dalla barca al frantoio per tirare la carretta, dura, davvero, tanto che sembra, dicono le leggende, si tirano su fumando semi di papavero e tabacco per resistere a tale fatica che durava più o meno da novembre a maggio.

I trappeti e lo schema architettonico comune

Frantoi del Salento

Lo schema architettonico dei frantoi ipogei del Salento è di particolare interesse

Lì dentro i trappitari ci vivono senza uscire quasi mai, forse in occasione delle feste, magari il Natale, e così il frantoio ipogeo è organizzato in stanze, diversi ambienti per le tante attività, secondo uno schema architettonico comune a tutte le diverse strutture, con una scala scavata nella roccia e ricoperta da una volta a botte per accedere al vano principale, con le aree di lavorazione e le altre dedicate alla cucina e ai dormitoi.

Non mancano le stalle per quegli animali, come muli e asini, che aiutano gli uomini nella loro attività. Tutto senza luce diretta se non quella al centro della volta principale.

E, sostengono ancora le leggende (ma quelle vere vere), a far loro dispetti ci sono pure certi folletti fastidiosi, gli Uri, piccoli personaggi misteriosi, alti sembra appena 20 centimetri,  che popolano quel mondo evanescente tra realtà e fantasia.

Solo nella provincia di Lecce di questi trappeti, ce ne sono più di 100. Ecco qualche idea, ricordando che per la visita ai locali sotterranei spesso si deve chiedere ai comuni o alle pro loco, mentre quelli privati dipendono dalla disponibilità dei proprietari (che c’è sempre).

I trappeti da vedere

Presicce

Presicce è la “Città dei trappeti”. Qui, infatti, ve ne sono decine, delle centinaia originarie

A Gallipoli, la città perla dello Ionio, il frantoio ipogeo con una macina del 1600, lo si trova sotto un edificio rinascimentale ristrutturato nell’800 quando diventa proprietaria la famiglia che gli dà il nome, Palazzo Granafei, in pieno centro storico, via Antonietta De Pace, a pochi metri dalla Cattedrale. Si visita a luglio, agosto e nei periodi festivi come Pasqua e Natale.

A Sternatia, che fa parte della Grecia salentina e in cui si parla il griko, dialetto di origine greca, tutto il sottosuolo è percorso da cunicoli, gallerie, ambienti vari usati per la lavorazione dell’olio. Sembra che nel 1700 fosse uno dei luoghi più specializzati del settore. Tra i tanti, da vedere quello presso la porta Filìa, sotto il giardino di Palazzo Granafei.

A Calimera fino al 1700 c’erano ben 14 frantoi ipogei ma rimane solo il frantoio Rescio, privato, appena fuori il centro abitato, largo Immacolata, e riscoperto per via di lavori per la costruzione di una strada. La particolarità, oltre alla sua stessa essenza, è la presenza di graffiti che oltre al sole simboleggiano oscure testimonianze del passato.

A Martignano, nel complesso del Parco Turistico Culturale Palmieri nella piazza omonima, c’è un frantoio semi-ipogeo, cui si accede da due entrate a piano terra del palazzo. Si può visitare dal martedì al sabato (10-13; 15,30-18), da aprile e per tutta l’estate dalle 16.30 alle 19.30 (info: direzione@parcopalmieri.it).

A Morciano di Leuca i frantoi ipogei sono numerosi, solo nel centro storico se ne contano diciotto. Da curiosare in via delle Cisterne, dalle parti di Palazzo Cacciatore, tra Castello e via Castromediano, tra via Nuova e via Roma, tra via Pace e largo S. Giovanni.

A Presicce, che tra il 1700 e il 1800 era conosciuta come città sotterranea, di frantoi ce n’erano almeno 30, una concentrazione probabilmente dovuta all’alta concentrazione di falde acquifere, sotto piazza del Popolo, intorno al Palazzo ducale, davanti la Chiesa Madre e in via Gramsci.

A Sannicola il frantoio è stato restaurato e lo si può visitare chiedendo al Comune.

A Vernole il frantoio Caffa, funzionante dal 1500, è al centro del paese, piazza Vittorio Veneto: da qui una scalinata porta al suo interno, con presse del tipo alla calabrese e alla genovese, del 1700.

Ad Acquarica del Capo il frantoio ipogeo della Madonna dei Panetti si trova a nord-est dell’abitato, vicino all’omonima cappella dell’XI-XII secolo. Attorno alla  vasca sono ancora visibili le tracce lasciate dal mulo che azionava col suo movimento la grande pietra molare per frangere le olive, funzionante fino al primo decennio del 1900.

A Minervino si trova il frantoio ipogeo più grande, ben 700 metri quadrati: è noto perché a Natale vi viene allestito un suggestivo presepe.

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