Una discesa tra mistero, storia e fascino allo stato puro. Una scalinata che ci porta in una spirale di meraviglia che non dimenticheremo mai. Stiamo parlando del pozzo di San Patrizio, ad Orvieto. È un’avventura che ci sussurra di un tempo che sembra essere morto nel passato, ma che in realtà permane impresso in quelle mura. Andiamo dunque alla scoperta di quel piccolo pezzo di mondo che ci lascerà senza parole.
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La storia di questo pozzo è davvero unica. Fu Antonio da Sangallo il Giovane a costruirlo, e fu Papa Clemente VII a volere questa struttura, costruita tra il 1.527 e il 1.537, poiché egli si rifugiò ad Orvieto dopo essere sopravvissuto al Sacco di Roma. Voleva essere sicuro che sarebbe stato protetto nel caso in cui la città fosse stata assediata. Lo scopo del pozzo di San Patrizio era proprio quello di essere una fonte di acqua in caso di attacco da parte di nemici. Inizialmente veniva chiamato Pozzo della Rocca, ma venne rinominato pozzo di San Patrizio nell’Ottocento dai frati del convento dei Servi. Ciò era dovuto alla loro ispirazione ad una leggenda irlandese. Si narra che il passaggio per l’aldilà si trovi su una grotta senza fondo in Irlanda, e che San Patrizio si ritirava spesso lì in preghiera. La caverna sarebbe il simbolo del Purgatorio, e questo luogo magico assunse il nome di Purgatorio di San Patrizio.
Il modo in cui fu costruito il pozzo di San Patrizio è veramente la Gioconda dell’ingegneria. Entriamo nel pozzo tramite due rampe elicoidali, con due diversi ingressi. Ciò consentiva ai muli di portare l’acqua senza dover per forza passare dalla via che dal fondovalle saliva ed arrivava in paese. Le due scale che conducono alle due porte sono unite da un ponte che ci è possibile attraversare. Quando i nostri avi hanno realizzato il pozzo di San Patrizio, lo hanno fatto scavando nel tufo dell’altopiano, su cui Orvieto sorge. Si tratta di una pietra molto dura e resistente. Tuttavia, il tempo non è clemente nemmeno con questo materiale. Infatti, passati ormai i secoli, anche questa pietra sta stentando a rimanere completamente intatta. Ciò è a causa degli scarichi delle fogne. Quanto fieri fossero i contemporanei di questo lavoro ingegneristico ce lo racconta l’ingresso del pozzo, sul quale troviamo scritto “quod natura munimento inviderat industria adiecit”, ossia “ciò che non aveva dato la natura, procurò l’industria“.
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Emma Valenti, della provincia di Trento, residente nel Parco Naturale dell'Adamello Brenta, da sempre appassionata di trekking e laureata in Beni Culturali. Promotrice del cammino meditativo, che ci aiuta a riappropriarci della centralità dell'anima.
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