Un vero sogno ad occhi aperti in Alto Adige, scopri come raggiungere queste torri millenarie per toccare il cielo con un dito

Adriano Bocci  | 04 Giu 2025
Torri del Vajolet, Val di Fassa. Shutterstock_2441153293

Le Torri del Vajolet non sono giusto dei massi di roccia sparsi nel cielo. Fra le (troppe) cose belle delle Dolomiti, fanno la loro parte come icona, testimoni di imprese alpinistiche da non dimenticare. Camminare qui equivale ad un paio di cose da tenere conto: il mondo è stato scolpito dal tempo ben prima di noi, i sentieri sono bellezza pura e, soprattutto, la fatica e la tecnica sono compagni, qui. Oggi GoodTrekkers vi rendiamo partecipi di come arrivare alle Torri del Vajolet, assicurandovi solo una cosa: serve tecnica. Non è per tutti, sa essere pericoloso, sa essere pure una delle soddisfazioni più grandi che potete fare, ma esclusivamente a patto di avere molta esperienza. Con le dovute precauzioni, ma… si va?

Scheda tecnica

Scheda tecnica

  • Punto di partenza: Parcheggio a Pozza di Fassa, da qui si può prendere la funivia per raggiungere il punto di partenza del sentiero.
  • Punto di arrivo: Torri del Vajolet
  • Lunghezza: 3.48 km (solo andata)
  • Dislivello: 660 m
  • Tempo di percorrenza: 2 ore 10 minuti senza soste
  • Difficoltà: EE – Escursionista esperto (attrezzatura)
  • Periodo: da giugno a settembre
  • Segnavia percorso: 541 (indicazioni per Rifugio Re Alberto 1° – Gartlhütte e Torri del Vajolet)

Mappa

Percorso

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Il punto di partenza per le Torri del Vajolet è il Rifugio Gardeccia, raggiungibile con la funivia da Vigo di Fassa e una navetta da Pian Pecei. Qui si comincia a respirare aria buona e si cammina subito in mezzo a boschi di conifere e radure che, in stagione, sembrano tirate fuori da un’enciclopedia alpina. Fiori ovunque, erba viva, niente combo ferro+carbone+clacson, ma solo passi e vento.

Il sentiero prende quota piano, mai troppo impegnativo in questa prima parte, e in cambio vi regala viste sempre più ampie sul Gruppo del Catinaccio. Dopo circa un’oretta abbondante si arriva al Rifugio Vajolet, dove il panorama comincia a farsi serio: le Torri del Vajolet  si vedono già in tutta la loro verticalità. Un sipario roccioso e già qui vale la pena prendersi del tempo solo per guardare.

Da qui in poi, però, si alza vertiginosamente il tiro. E lo ribadiamo: non è per chi manca di esperienza. La salita al Rifugio Re Alberto 1° – Gartlhütte non è lunga, ma è tosta: fondo scivoloso, tratti ripidi, a volte affollati. Se non siete pratici niente da fare, passo sicuro e una certa abitudine alla quota sono necessarie almeno da qua. Ma la ricompensa è netta, 2.621 metri e una visuale che prende tutto, dalle valli sotto ai profili ostili e aguzzi delle Dolomiti.

Chi ha ancora energia può tentare la Via ferrata del Passo Santner, altrimenti ci si gode il rifugio, ci si siede e si sta. Magari però potrebbe tornarvi più comodo sorseggiare qualcosa al tavolo e parlare di qualche curiosità.

Curiosità

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Quando si cammina tra le Dolomiti di solito ci si porta dietro zaino, fiato e spesso anche un bel po’ di ignoranza, ma nel senso buono. Per davvero: perché a furia di guardare le cime ci si dimentica che certi posti non sono solo belli da vedere, ma sono seriamente pieni di storie, stranezze geologiche e imprese al limite. Come anticipato prima, le Torri del Vajolet non fanno eccezione, tutt’anzi: sudore, millenni di trasformazioni e cose veramente belline da sapere.

  • Tita Piaz, “il Diavolo delle Dolomiti”, fu uno dei primi ad affrontare le Torri del Vajolet con uno stile più ostile delle Torri stesse: in solitaria e spesso senza corda. Le sue imprese qui hanno segnato un’epoca.
  • L’enrosadira, la sfumatura rosata che veste le cime al tramonto (e pure l’alba), è una delle firme visive più note delle Dolomiti. È solo luce, dolomia e fortuna col meteo, niente filtri Instagram.
  • Tra le rocce del Gruppo del Catinaccio sono stati trovati fossili marini: coralli, conchiglie e tracce di un passato sommerso. Un tempo queste pareti erano il fondale di un mare tropicale. Cammini sul fondale di un mare tropicale. Meglio di così?
  • Il nome “Vajolet” ha origini ladine e indica un piccolo vallone. Non centra col viola, anche se fra il tramonto e l’enrosadira l’associazione è comprensibile.
Adriano Bocci
Adriano Bocci

Scrivo cose per professione. Paragono dettagli per passione. Accarezzo gatti per amore. Laurea in Comunicazione, classe '94, un uomo semplice: vedo cose belle, metto like. Poi mi incuriosisco, mi informo e vi rendo partecipi di dove crearvi bei ricordi.



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