L’acclimatamento è cruciale per preparare il fisico alle condizioni di alta quota e prevenire il mal di montagna. Per approfondire questo argomento, il Collegio Nazionale delle Guide Alpine offre qui la duplice prospettiva di un medico e una guida, che insieme costruiscono un dettagliato quadro di informazioni, utile a chi progetta di affrontare una salita in alta quota, magari su un quattromila, approffittando delle ottime condizioni dei ghiacciai questo periodo.
Da un lato il medico ci spiegherà cosa si intende per acclimatamento, la sua importanza, come affrontarlo e il ruolo della nutrizione e dell’idratazione. La guida alpina, invece, spiegherà come pianificare un itinerario tenendo conto dei tempi necessari per un corretto acclimatamento.
Il dott. Antonio Prestini, Dirigente Medico del Dipartimento di Prevenzione dell’APSS di Trento, nonché responsabile dell’Ambulatorio di Medicina di Montagna e Guida Alpina, ci spiega innanzitutto cosa si intende per acclimatamento e quanto può essere cruciale per l’esito positivo di una salita in quota.
L’acclimatamento è il processo che il nostro organismo mette in atto quando saliamo di quota e iniziamo a respirare un’aria per così dire “rarefatta”. Salendo di quota diminuisce la pressione barometrica, quindi, pur rimanendo costante la percentuale di ossigeno (gas respiratorio) diminuisce la pressione con cui è disciolto nell’aria, e di conseguenza diminuisce la quantità di ossigeno che noi riusciamo ad introdurre nei polmoni e a trasportare nel sangue (ipossia ipobarica). Tramite modificazioni a carico di vari organi e apparati, soprattutto dell’apparato cardio-respiratorio, l’organismo si adatta alla diminuita pressione barometrica e all’ipossia, in modo da essere in grado di svolgere attività fisica quale camminare ed arrampicare con una performance ridotta, ma comunque sufficiente per raggiungere i propri obiettivi. L’acclimatamento quindi è un processo che richiede tempo.
Una persona sana, in buona forma fisica, fino al 2500 metri in genere non avverte cambiamenti significativi e la quota non produce effetti apprezzabili sulla performance fisica. Dai 3000 metri in su questo effetto diventa via via più evidente. La sensibilità alla quota, tuttavia, varia da persona a persona.
Tutto dipende da quale quota dobbiamo raggiungere. In linea generale, vale sempre la regola di prevedere una ascesa il più possibile lenta per dare il tempo al nostro organismo di abituarsi. L’utilizzo degli impianti di risalita non facilita quindi il processo di acclimatazione: salire velocemente in quota, al di sopra dei tremila metri, partendo alla mattina da città poste a livello del mare come Milano, Roma o Genova in giornata, aumenta la possibilità di avere dei disturbi legati all’altitudine.
In Himalaya oppure sulle Ande, dove le quote sono molto superiori alle Alpi, esistono delle precise tabelle con indicazioni su quanto tempo permanere alle diverse quote, quanto dislivello fare al giorno e la quota del pernottamento fra un campo ed il successivo. Tali tabelle vengono consigliate ai partecipanti di trekking o di spedizioni d’alta quota e sono ormai universalmente accettate. Per salire al disopra di 5000 metri l’acclimatazione deve essere fatta secondo regole precise anche da parte di alpinisti esperti e che hanno già raggiunto tali quote in precedenti occasioni.
Sì, bisogna sempre evitare di dormire alla quota massima che abbiamo in programma di raggiungere. Faccio un esempio. Se il nostro obiettivo è il Monte Rosa, la cosa giusta è di programmare la salita in tre giorni. Ideale infatti sarebbe dormire a Gressoney o Alagna la prima notte, poi salire al rifugio Gnifetti o Mantova anche con l’ausilio della funivia, ma con molta calma, e prendersi tutto il giorno per acclimatarsi alla nuova quota intorno ai 3500 metri.
Il giorno dopo raggiungeremo la capanna Regina Margherita, e poi ridiscenderemo. Un grosso errore che ogni tanto purtroppo viene fatto, sarebbe invece di voler raggiungere direttamente la cima, posta oltre 4550 metri, facendo la gita tutta in giornata, e magari fermarsi a dormire alla capanna Margherita per vedere l’alba il giorno dopo. Così facendo sarebbe uno sbalzo di quota notevole e rischioso, perché durante la notte tutti i sintomi del mal di montagna vengono amplificati.
Il sintomo cardine è il mal di testa (cefalea). Se compare mentre saliamo di quota oppure alla sera in rifugio è un segnale quasi certo di mal di montagna. Alla cefalea possono associarsi altri disturbi, quali stanchezza importante, vertigini, nausea, vomito e disturbi del sonno. La stanchezza è un sintomo più difficile da interpretare, perchè è insita nell’attività stessa dell’alpinismo, per cui deve essere valutata con attenzione, in maniera obiettiva.
Ad esempio considero le esperienze precedenti, il mio stato di allenamento, oppure mi confronto su quanto sono stanchi gli altri partecipanti della mia comitiva. Nausea, vomito ed insonnia sono disturbi fastidiosi e in genere insorgono la sera in rifugio, condizionando quindi la performance del giorno seguente. La vertigine (atassia), senso di sbandamento, difficoltà di equilibrio, è il sintomo più grave perché è un campanello di allarme che indica alterazione del sistema nervoso centrale. Inoltre non sono da sottovalutare neanche le variazioni della temperatura, dell’umidità dell’aria e la presenza di vento, che sono variabili che possono influire molto sulla performance di chi, partendo dalla città, si avvicina rapidamente alle alte quote, e che concorrono alla sensazione di malessere. L’eventuale utilizzo di farmaci per prevenire i disturbi d’alta quota deve essere fatto sotto il controllo medico.
Tornare subito indietro quando compaiono i primi sintomi, soprattutto se mancano più di 300-500 metri di dislivello alla meta. Infatti, se si permane in quota, magari per la notte, i disturbi possono peggiorare, la persona non riesce più a scendere con le proprie forze e può rendersi necessaria l’evacuazione tramite elicottero. I sintomi regrediscono invece velocemente se ci abbassiamo anche solo di 300-500 metri di dislivello. Consiglio di dare retta alla Guida Alpina che ci sta accompagnando oppure al Gestore del Rifugio, che conoscono i disturbi d’alta quota e sanno come gestirli e ci consiglieranno per la discesa, quando possibile. Purtroppo a volte si decide di proseguire ugualmente, vuoi perché incitati dai compagni, vuoi per il dispiacere della rinuncia oppure per il tempo ed il denaro investiti. In tale caso il mal di montagna può evolvere nelle sue forme più gravi, l’ edema polmonare (HAPE) e l’edema cerebrale (HACE).
Sono molto importanti. L’idratazione deve essere particolarmente curata e abbondante, perché facilita le fasi dell’acclimatazione e previene anche altri disturbi legati alla diminuzione della temperatura. Consiglio di bere tanto giorno prima, soprattutto la sera in rifugio e la mattina a colazione. Necessario poi avere almeno 1 litro di bevanda calda nello zaino il giorno dell’ascesa. Infatti le bevande calde sono l’ideale perchè il freddo peggiora i disturbi dell’alta quota.
Per l’alimentazione non ci sono regole esatte, ma deve essere ugualmente ben pianificata, ricca, e varia per poter fornire tutte le calorie e quindi le energie necessarie. Consiglio di mangiare cibi facilmente digeribili per non avere difficoltà digestive e per discernere i sintomi gastrointestinali se subentrano. In verità, per brevi escursioni in alta quota sulle nostre montagne, non c’è un alimento meglio di un altro: cambia da persona a persona, uno digerisce meglio i grassi, un altro i carboidrati, e così via. Mi permetto di raccomandare però di usare il più possibile involucri ridotti al minimo per ridurre il peso dello zaino e i rifiuti prodotti.
Noi non siamo tutti uguali, non esiste una quota problematica uguale per tutti, e poichè l’adattamento è un processo fisiologico, non è detto che il nostro organismo risponda sempre allo stesso modo quando si trova in condizioni di ipossia. Alcune persone già a 2500 metri avvertono i primi disturbi, altre riescono a raggiungere anche i 4000 metri senza grossi problemi. Generalmente ogni persona presenta una quota “critica” alla quale si inizia a star male e questa soglia può essere migliorata con un’adeguata acclimatazione e l’allenamento.
Francois Cazzanelli, noto alpinista valdostano e guida alpina da 12 anni, nella Società Guide Del Cervino, ci regala alcuni consigli pratici tratti dalla sua esperienza in montagna. Cazzanelli ha salito cinque ottomila ed è noto al pubblico per le sue performance agonistiche: ha siglato diversi record di velocità, ha fatto parte della Nazionale Italiana di sci alpinismo e della “Sezione Militare di Alta Montagna” del Centro Sportivo Esercito di Courmayeur.
Per qualsiasi gita uno vada a fare oltre i 2500 metri, consiglio di partire sempre con un giorno di anticipo. Ho notato, negli anni, che chi dorme in valle già la notte precedente alla partenza della gita sta meglio durante la salita, e non parlo necessariamente di salite sui 4000. Sembra una banalità, ma partire dalla città direttamente nella notte comporta comunque maggior affaticamento e dormire ad una quota superiore aiuta ad essere più in forma il giorno dopo.
Prima di tutto consigliando alle persone come pianificare e affrontare una salita in montagna, in base alla loro preparazione e alla salita che vogliono fare, e poi monitorando attentamente lo stato del cliente durante l’escursione. Ad esempio, consigliamo di fare qualche allenamento nelle settimane precedenti, anche delle semplici camminate per raggiungere dei rifugi: iniziano ad abituare il fisico a fare sforzi a quote che non sono quelle dove normalmente si vive.
Durante la gita, ogni guida chiede spesso come stai, come va, non solo per capire se il cliente apprezza la gita ma per capire se sta bene. Se dovessero insorgere dei problemi può gestire la situazione subito, magari rallentando il passo, consigliando di bere, facendo pause in più. Fino a decidere di rientrare e riproporre la gita in un secondo momento se la situazione peggiora e il cliente va in sofferenza. Il nostro compito è accompagnarli, farli divertire e, come dico sempre, “fargli realizzare un sogno”. Ma il sogno va vissuto e apprezzato, e per questo sono necessari una buona preparazione fisica e un buono stato di salute.
Prendiamo ad esempio il Breithorn, il 4000 più facile che abbiamo in Italia. Per salire, come tempistica, basta un giorno, perchè gli impianti di risalita ci portano già ad una quota abbastanza elevata. Ma è importante arrivare la sera prima a Breuil Cervinia e dormire lì per un buon acclimatamento, il paese si trova già a quota 2000 metri. Quando il giorno dopo ci si incammina sul ghiacciaio, bisogna muoversi lentamente e cercare di ascoltare il più possibile il proprio fisico: la sensibilità alla quota è anche un fattore personale, è difficile dare delle regole standard. Se si sta bene si può aumentare il proprio ritmo. Un quattromila come questo, che si può fare in giornata, espone meno ai rischi dell’alta quota perchè la permanenza in alto dura poco.
La notte in rifugio, magari a tremila metri, fa una grossa differenza in termini di acclimatamento, ma per molte cime come il Castore sul Monte Rosa, o il Gran Paradiso, è necessaria. Non è scontato stare bene e può darsi che la mattina dopo non si sia in condizioni di proseguire. Molto fa la preparazione fisica di ognuno di noi e la miglior strategia è quella di arrivare preparati. Non bisogna essere degli atleti, bisogna acclimatarsi correttamente e tenere presente che una regolare attività fisica aiuta.
Capita raramente, per fortuna. Innanzitutto, oggi le persone che si affidano alla guida alpina arrivano mediamente più preparate. Quando ho iniziato a fare questo mestiere 12 anni fa, non era sempre così, ma i tempi del “prendo la guida e mi trascina in cima” sono finiti. Le guide sono professionisti, dedicano molto tempo alla formazione e alla preparazione degli itinerari; il cliente deve rispettare queste competenze, seguire i consigli e cercare di arrivare preparato: questo rispetto reciproco aiuta a concludere positivamente la gita ed evitare difficoltà come quelle legate alla quota.
Sì, è il periodo ideale. I ghiacciai sono in ottime condizioni. Quest’anno purtroppo il meteo ci sta un po’ facendo faticare per la sua instabilità, però le salite classiche sui 4000 delle delle Alpi sono tutte in ottime condizioni, grazie alle abbondanti nevicate e al rigelo notturno. In ogni caso, prima di pianificare una salita, è consigliabile consultare le Guide Alpine del posto per raccogliere informazioni dettagliate sui singoli itinerari e le condizioni locali.
Credit dell’immagine: Martino Peterlongo
Sono Alessio Gabrielli, ho 25 anni. Laureato in Scienze della Comunicazione all'Università di Tor vergata. Sto proseguendo gli studi presso l'Università La Sapienza di Roma in Media, comunicazione digitale e giornalismo.
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