In Valle Varaita, è possibile provare un’esperienza autunnale incredibile. Questa terra è ideale per un’escursione che consente un’immersione nel più esteso bosco di soli pini cembri di tutto l’arco alpino, adagiato alle pendici meridionali del Monviso. Si tratta di un percorso circolare senza particolari difficoltà tecniche e, dunque, è adatto a tutti. Siete pronti a partire e a lasciarvi affascinare dallo spettacolo del foliage?
Lasciata la vettura al parcheggio (1580 metri di altitudine), si ritorna un poco indietro sull’asfalto fino a un pannello didattico e a un pilone votivo. Si prende la sterrata sulla sinistra, in direzione del rifugio Alevè, ma, prima di raggiungere l’edificio, si imboccare il sentiero in salita, alternando tratti boscosi ad altri prativi. Si raggiunge e si oltrepassa la radura in cui sorge il rifugio Grongios Martre (1745 metri di altitudine) e i resti della Grangio Ciamion. Dopo una breve salita più ripida, si arriva ad altri ruderi, quelli delle Grange Peiro Grongetto (1857 metri di altitudine).
Si prosegue mantenendo la sinistra ancora in salita, mentre il bosco diventa nettamente più fitto e tronchi dalle curiose forme si susseguono quasi ininterrotti. Si è immersi in un ambiente magico, con il cirmolo (altro nome di questa particolare conifera) che assume forme particolari, quasi a creare sculture naturali. Una radura si apre, a Pion di Caval (1948 metri di altitudine), sul Pelvo d’Elva. Verso la fine di questa area, si dipartono diversi sentieri, ma bisogna mantenere la direzione verso il lago e il rifugio Bagnour, sempre in salita costante, fino a sbucare direttamente accanto a esso (1017 metri di altitudine). La struttura si affaccia sull’omonimo laghetto, ormai quasi interamente interrato e simile a una torbiera.
Si oltrepassa il lago, servendosi delle passerelle di legno e delle pietre, e, prima di proseguire l’escursione, si deve effettuare una deviazione verso sinistra, in direzione del Vallone del Duc. Pochi passi ed ecco un cembro monumentale, alto 18 metri e vecchio circa 600 anni. Tornati al bivio presso il lago, si prosegue per il sentiero in discesa, in direzione Lago Secco/Lac Sec, che si raggiunge in breve tempo.
Ripreso il sentiero, dopo lo specchio d’acqua si trova un bivio; qui va tenuta la destra, in direzione di Castello/Castel, camminando con andamento più graduale. Ai vari bivi, poi, si mantiene sempre la direzione per Castello. Un poco in discesa e, successivamente, in leggera salita, si percorre il fitto del bosco con alcuni scorci di panorama sul Pelvo d’Elva. La seconda metà del percorso riporta ai ruderi di Peiro Grangetto (1857 metri di altitudine), da cui si ripercorre il medesimo sentiero affrontato all’andata.
Il bosco dell’Alevè, il cui nome sembra derivare dall’occitano elvé/elvou che indica proprio il cirmolo, è iscritto nel Libro Nazionale dei boschi da seme. I semi vengono raccolti e utilizzati anche all’Estero, per la riproduzione e la diffusione di questa particolare pianta, che può arrivare a venti metri di altezza e presentare tronchi nodosi, contorti, con radici estetiche che prendono forme suggestive.
Il legno è particolarmente ricco di resina, quindi non è adatto come combustibile. Per contro, è perfetto per la lavorazione di oggetti che mantengono nel tempo il profumo resinoso, risultando anche inattaccabile dai tarli. È l’unica conifera con aghi raccolti a gruppetti di cinque e i semi sono apprezzati soprattutto in pasticceria, oltre che dalla nocciolaia. Questo uccello nasconde spesso le pigne come scorta per l’inverno, a volte dimenticandoseli, così a volte crescono esemplari di pino cembro in punti assai insoliti e improbabili, come l’esemplare nato sulle pareti della Cima delle Lobbie, a 2950 metri di altitudine.
[foto @Davide Gandolfi / Shutterstock.com, solo per uso editoriale]
A Sampeyre, una delle località più grandi della Val Varaita, si svolge una sorta di “carnevale” assai tipico, con personaggi dai costumi quasi napoleonici, ma arricchiti da colori, nastri e specchietti. Spicca la figura dell’Arlequin, colorata e trasandata che, per assurdo, funge da controllore per assicurare il regolare svolgimento della sfilata.
Abbiamo usato il termine carnevale, ma non è corretto, è la Baìo, la cui storia è molto antica e affascinante. La parola baìo deriva dall’occitano e significa Badia, abbazia, non in senso religioso quanto nel significato di unione, associazione, per lo più di giovani che organizzavano feste comunitarie. Con questo termine ci si riferisce sia alla festa sia a chi vi partecipa. L’evento si svolge ogni cinque anni e i partecipanti sono esclusivamente di sesso maschile, anche per i ruoli femminili.
Il tema portante è la rievocazione della cacciata dei saraceni dell’anno Mille, per questo molti dei figuranti hanno costumi che richiamano il mondo militare, come i cavalieri e zappatori dalle folte barbe armati da scuri. Ci sono, poi, tanti altri personaggi, tra cui le bambine che sventolando nastri bianchi per segnalare i movimenti dei saraceni, gli sposi, i greci prigionieri liberati che fumano lunghe pipe. Personaggi articolati, numerosi, ognuno con un proprio ruolo da rispettare perché la Baìo è un evento sociale che si ripete immutato da anni. Uno spettacolo in cui immergersi totalmente.
Giornalista pubblicista e giurista, con la passione per il teatro e il trekking. Col mio lavoro mi impegno a esplorare e analizzare a fondo e in maniera trasversale le dinamiche sociali e intellettuali della nostra epoca, per una comunicazione efficace e coinvolgente, che consenta a tutti di avere libero accesso anche alle notizie più tecniche e complesse.
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